Il giorno della civetta

«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…“.

Ho provato un’emozione indescrivibile nel leggere Sciascia.
Mi ero già affezionata alla sua scrittura ancor prima di approcciarmene e devo dire che non mi ha affatto delusa.
Opera sofisticata, degna dell’intellettuale che è stato per l’Italia, non solo per la Sicilia.
L’indagine portata avanti dal capitano Bellodi è il pretesto per mostrare ai nostri occhi la verità.
Quella verità profonda come un pozzo, mascherata dal potere e dalla borghesia ipocrita e vigliacca.
Il racconto parla della Sicilia umiliata e delusa, ma anche dell’isola che combatte e vuole andare avanti.
Un libro denuncia di Sciascia che, al contempo, mi appare una dichiarazione d’amore.
Di quelle che si fanno quando si capisce il valore di un sentimento che viene alimentato nonostante i difetti del genere umano.
L’amore che solo le radici riescono a mantenere vivo.
La speranza di cambiare una terra di sospiri.
L’illusione dell’incanto.
Da perderci la testa, afferma Bellodi.
Da amare fino alla fine.
Grande Sciascia.
Scrittura potente, da conservare nel cuore.
Luna

Crepitio di stelle

“A volte credo che invece le cose vadano proprio al contrario: chi chiede poco si vede offrire tutto, e chi non ha a cuore niente raggiunge la libertà. E più di così non si può avere. Se solo riuscissi ad impormi di non voler nulla!”


Alla fine ti affezioni a tutti loro.
Al signor Boovar che di notte fa il pane mentre ascolta la musica.
Al vecchio proprietario della biblioteca seduto sullo sgabello di legno.
Al bisnonno, anima vagante e inquieta, e alla bisnonna che tira avanti senza guardarsi indietro.
Ci si affeziona al ragazzino che racconta, alla sua matrigna silenziosa e smunta.
Al suo povero papà, rimasto solo troppo presto, e alla vita che cambia veste ma non sentimento.
Mentre il racconto prosegue ci si affeziona agli eventi, alle pinne di foca, al freddo che non perdona, alle infrazioni giustificate.
Ci si affeziona alla vita che continua, alle perdite necessarie, al verificarsi degli eventi.
Si impara ad amare la scrittura cristallina di una mente lucida e attenta. Ad apprezzare i passi di una storia che vuoi rileggere per riuscire ad afferrarli ancora.
Nomi che non vengono dati, volti che puoi solo immaginare.
Stefansson mi ha stupita per la sua delicatezza, per avermi saputo donare crepitìi di stelle, musi infreddoliti, amori ricambiati.
Uno scrittore che mi piacerebbe incontrare di nuovo per poter assaporare un’altra storia.
Il fuoco del ricordo si spegne mentre il ragazzino racconta ancora.
Luna